HOMO VS NATURA

Barbara Capponi | Babas
Retablos e fotografie
Monterosso al Mare,
Oratorio dei Neri, Mortis et Orationis
16 – 30 agosto 2017
Con la collaborazione di Maria Livia Brunelli

Sarà per la diffusa tendenza di noi occidentali a credere che la nostra identità coincida con una specie di omino parlante dentro la nostra testa, ma spesso pensiamo alla natura come a qualcosa che sta fuori di noi: un contenitore, uno scenario, un territorio di caccia e di conquista. Accade raramente, e come una specie di dono, che ci si senta parte del mondo. Allora si può sperimentare quella che gli indù chiamano La danza di Shiva: la percezione di un grande movimento collettivo, un unico respiro del mondo, una danza cosmica di cui noi siamo parte armonica.

Chi l’ha sperimentata dice che è un’esperienza indimenticabile.

Viviamo su un pianeta carnivoro: la vita si nutre della morte e la morte si nutre della vita. Anche questa è la danza di Shiva: l’eterno ciclo di distruzione e creazione, strettamente legate l’una all’altra. E’ un mondo bellissimo, ed è un mondo feroce.

Gli esseri umani sanno essere i più feroci e trattano il corpo del pianeta come se fosse la loro torta di compleanno.  Ma sanno anche vedere e creare la bellezza, qualche volta.

Tra la nostra ferocia e l’arte c’è spazio per il pensiero e per interrogarsi: qual è il nostro posto, e il posto delle altre creature, e il posto delle cose, nell’universo?

Le Cinque Terre sono un luogo di frontiera. La terra e il mare si incontrano e l’incontro è aspro, difficile e bello da togliere il fiato.

Qui l’umanità si è sempre guadagnata da vivere strappandolo alla terra e al mare con le unghie e con i denti. A Monterosso solo cinquant’anni fa chi scendeva in paese dai monti – compresi i vecchi e i bambini – doveva sempre riportare una pietra quando risaliva: le pietre servivano a costruire i muri a secco per terrazzare, i terrazzi servivano per coltivare. I monterossini lavoravano la terra ed era una terra dura. E per chi andava in mare la vita non era certo più semplice. Gente che porta sempre con sé una grossa pietra tende a guardare verso il basso, dove mette i piedi.

Anche oggi, che il turismo ha portato ricchezza e reso la vita degli abitanti meno dura, la violenza della natura è sempre in agguato, come è successo per l’alluvione del 2011.

Le fotografie non rendono onore alla bellezza di questi luoghi. Perché le fotografie sono ferme, e la vera bellezza è in movimento. Ci sono il moto e il respiro dell’acqua, i colori che cambiano, il luccichio del sole o dei raggi della luna sulle piccole creste create dalla brezza sulla pelle viva del mare. Ci sono le nuvole che viaggiano in cielo come flotte di galeoni e gli alberi che abitano i boschi sui monti tutti intorno, il loro movimento lieve, il canto delle foglie nel vento. E poi ci sono le mille creature e le loro vite che si incrociano con le nostre: la capinera che ci ruba una briciola, il merlo che canta nell’albero sopra la nostra testa, il gatto che ci si struscia sulle gambe, la lucertola ferma nel sole.

Non stupisce che qui siano nate le meravigliose poesie di Montale.  Qui è approdata la crocifissione di Van Dick , nella chiesa di San Francesco. Qui c’è il cimitero in cima alla collina, con la vista più bella – una consolazione per i vivi, o forse un dono per noi incomprensibile per i morti. Ci sono le vecchie case e i giardini. Ci sono San Francesco e il lupo che guardano il mare da sopra il promontorio – di nuovo, un incontro tra l’uomo e la natura, tra la natura dell’uomo e la natura di un animale selvatico.

Forse è questo: che qui si ha forte la sensazione che la natura sia una madre selvatica.

Che ci accoglie e ci riempie il cuore di amore e ci instupidisce con la sua bellezza, ma che può morderci o abbandonarci da un momento all’altro.

Resta la domanda: qual è il nostro posto, nell’universo?

Anche i posti giusti delle cose sono in movimento e questo rende la ricerca dell’armonia ancora più difficile.

Non c’è un modo di rimettere a posto le cose, se non con l’arte o la magia.