ELIO E LE STORIE TESE

Nel 1993, quando ancora lavoro per la McCann-Erickson a Milano, inizia la mia collaborazione con Elio e le Storie Tese. Esco dal mio corpo e ho molta paura è originariamente il titolo di un sogno pubblicato da Astra e risale a quando, ai loro esordi, gli Eli autoproducono i manifesti dei concerti con collage in cui abbinano titoli surreali trovati su Astra o Cronaca Vera a fotografie dei membri del gruppo.

Il disco è una raccolta di canzoni storiche degli esordi più alcune inedite che la band sta registrando a Milano al leggendario studio Regson. Scottati da un’esperienza precedente in cui un maxi-singolo (un 45 giri in vinile più lungo del solito) è stato scambiato per un album nuovo di zecca vogliono rendere molto chiaro fin dalla copertina che si tratta di canzoni dei primordi, eseguite di rado dal vivo nel primo periodo della loro carriera.

Presento diverse proposte, stampandole e montandole sui miei cd. È la prima volta che lavoriamo insieme: le copertine sono considerate attentamente e così, non troppo sorprendentemente, i cd su cui le ho montate, in una sorta di pre-esame sui miei gusti musicali che fortunatamente passo. Le copertine piacciono talmente da decidere di inserirne cinque diverse nel libretto: la multi copertina è un bell’inizio.

Segue poi Nessuno allo stadio, sigla di “Mai dire mondiali” della Gialappa’s Band. A parte la nota parzialità di Elio per l’Inter, il resto della band non è grande fan del calcio; le loro simpatie vanno al baseball (Faso ed Elio), agli sport estremi passivi (un’invenzione di Rocco Tanica), al motociclismo (Christian). Se non sbaglio, lì finiscono. Una scarpa da calcio che pesta una cacca incontra subito il favore dei più.

Nel 1996 succedono due cose: gli Eli vanno a Sanremo, dove spopolano con La terra dei cachi e pubblicano un nuovo, meraviglioso disco: Eat the phikis.

Per questo, presento l’idea al complessino a fine giornata, in una riunione che è un casino, in cui tutti parlano contemporaneamente. In genere siamo più disciplinati, ma questa volta va così. Elio si sbellica dalle risate all’idea di un predatore con l’apparecchio per i denti (opzioni: squalo, lupo, leone) e alla fine squalo è. Alex Koban realizza il fotoritocco, Robi Bagatti i ritratti in pongo degli EelST che compaiono nel libretto, Lorenzo Scolari fotografa l’apparecchio e i piccoli busti realizzati da Robi. Elio poi mi chiede di mettere la faccia di Bergomi invece della sua sul disco; secondo lui non se ne accorgeranno in molti.

Intorno a questi progetti gravitano personaggi interessantissimi: per esempio, Jon Jacobs, che ha lavorato come tecnico del suono con Paul McCartney e che accorda il mio bongo (il suono mi turbacit) che da allora guardo con venerazione e oso a malapena toccare. James Taylor, idolo della mia fanciullezza e oltre, a cui chiedo in un momento di delirio decadente di autografarmi una mela. Lui ci scrive: Barbara, it’s enough to be on your way. Io un secondo dopo mi pento di non avergli fatto scrivere questa benedizione su qualcosa di più duraturo, magari incidendomela su un braccio, e fotografo invano la mela con la mia polaroid, senza mai riuscire a mettere a fuoco la scritta. Però io so di averla avuta. E la benedizione ha funzionato.

E, naturalmente, c’è il Feiez. Noi non lo sappiamo che non rimarrà con noi ancora a lungo. Ma Feiez emana un’energia creativa ed amorosa potentissima: è un guru, un maestro spirituale che attrae umani, cani, bambini, musica e cose belle come una calamita cosmica. Forse è materialmente impossibile che possa continuare ad ardere con quell’intensità ancora a lungo.

Cantanti bravissimi, musicisti fantastici, tecnici sopraffini e tutti orchestrati dalle menti geniali degli Eli. Lavorare con gli artisti ti permette una enorme libertà creativa – soprattutto con artisti di questo calibro.

Per Craccracriccrec propongo tra le altre l’idea di fornire di occhi (e di identità autonoma) parti del corpo; il naso, le dita dei piedi. Piace l’idea del naso ma io me ne disamoro perché nel frattempo ho avuto un’idea che mi piace molto di più. Otar Bolivecic, il produttore, resta invece fedele al naso e trova un artista che ha realizzato un’opera analoga. Su questa divergenza d’opinione tra me e Otar si interrompe la nostra collaborazione. Comprensibilmente; avere idee di cui gli altri si innamorano e poi snobbarle non è mai consigliabile. Ma siamo rimasti in ottimi rapporti – con gli Eli amici, amicissimi, famiglia – e anche con Otar. Abbiamo condiviso tante cose importanti insieme.